Cara America, ti amo, ma preferisco innovare in Europa

Written by

1 comment on Cara America, ti amo, ma preferisco innovare in Europa

Un viaggio nella cultura dell’innovazione.

New York New York. Aprile 2011. Sul volo di ritorno dopo un mese e mezzo denso di fortunati incontri e di straordinarie esperienze nel mondo dell’innovazione e dell’imprenditoria statunitense mi pongo una domanda: perché sono così contento di tornare in Europa?

Berlino. Giugno 2011. Dopo qualche mese rispondo alla mia domanda: ho imparato molto da un’America ottimista, aperta, schietta, disponibile e pronta al nuovo. La cosa che mi interessa però è ibridare i geni di questa America innovativa con il DNA, le radici ed i principi della vecchia Europa.

Questo articolo è stato pubblicato orginariamente su DownloadBlog.it

Cara America, ti amo perché…

Non c’è paese al mondo come gli Stati Uniti. Ammiro profondamente i loro pregi più grandi, come la semplicità, l’attenzione all’individuo, la loro apertura culturale e la capacità di riportare tutto al mercato.

Semplicità

Essere semplici è un valore inestimabile. Non dover proporre un facciata sofisticata, raffinata ed elegante libera gli americani da un peso che in Europa ci aggrava costantemente. I nostri amici d’oltreoceano invece si avvicinano ad ogni cosa con la “mente del principiante”, sono pronti ad apprendere, a conoscere l’altro e si pongono di fronte a tutto con naturalezza e spontaneità.
La semplicità non va confusa con la superficialità o con la mancanza di arguzia: essere semplici significa anzi essere in grado di comprendere e di accogliere meglio. L’accoglienza però ha un obiettivo specifico, che viene puntualmente analizzato dall’interlocutore durante tutti gli incontri: qual è l’utilità dell’incontro? Come possiamo trovare delle occasioni per interagire in maniera produttiva?

L’individuo al centro

Per restare semplici ed aperti ad ogni incontro è necessario azzerare alcune variabili. Tra queste la variabile a cui dare meno importanza è “con chi sto parlando”. Quale sia la sua formazione, la sua origine, il suo entourage o la sua cordata sono informazioni secondarie in questo contesto. Il cuore della conversazione diventano quindi le idee. La condizione di successo della conversazione diventa la capacità di comunicare le proprie idee. Dalla valutazione dell’idea che si porta sul tavolo deriva la valutazione dell’altro. Dall’idea in poi si può anche andare ad indagare l’origine, la formazione, l’affiliazione o l’appartenenza dell’altro.
Questa è una lezione potente. Concentrarsi sul “cosa” e ignorare il “chi” – almeno in un primo momento – richiede molto esercizio per chi è abituato a valutare gli altri in base alla loro appartenenza, alla loro formazione, origine e affiliazione.
Di fronte alla possibilità di sviluppare nuove relazioni basata sulle idee che senso ha la nostra attenzione sulla forma? Sembra proprio che in Europa soffriamo di un grosso difetto di comunicazione e di una forte incapacità ad accogliere.

The market is king

Negli Stati Uniti tutto può essere scambiato in un mercato e c’è un mercato per tutto. Poter contare su questa infrastruttura semplifica ogni attività e sicuramente aiuta le imprese innovative. Poter contare su di un mercato delle idee fiorente, un mercato delle persone ricco e competitivo, un mercato delle risorse tecnologiche diversificato rende ogni nuova impresa più facile e più efficiente della precedente.
E’ pur vero che i Venture Capital, i Seed e gli Angel Investor non investono in pure idee, ma l’impressione è proprio che avere un fiorente mercato delle idee (collegate a team di imprenditori capaci, ipotesi credibili e prototipi funzionanti) sia uno dei motori che aiuta gli Stati Uniti ad esercitare questa egemonia cultural-tecnologica sul mondo occidentale.
Essere semplici, aperti al nuovo e avere tanti spazi dove il capitale incontra le idee consente di creare tante occasioni di crescita.

Condivisione & Radical Openness

Oltre ad essere semplici, aperti e in grado di far incontrare danaro e idee, gli americani stanno abbracciando la condivisione della conoscenza come modello di sviluppo. Le nozioni più interessanti non si trovano più nelle scuole e nelle università, ma hanno un naturale spazio su Internet. Questa accademia libera e aperta sembra essere regolata dai concetti su cui si è fondato il movimento del software libero: ognuno può iniziare a costruire a partire da quanto realizzato dagli altri, i metodi, gli esiti e le conclusioni sono pubbliche, tutto è sottoposto allo scrutinio del gruppo.
Come si applicano questi metodi all’imprenditoria e all’innovazione? Bisogna essere radicalmente aperti e trasparenti. Nascono così i blog di imprenditori e venture capital dove vengono “regalate” informazioni che un tempo venivano trattate come “segreti del mestiere”.
Il regalo ovviamente non è mai una cosa che si fa agli altri, ma soprattutto a se stessi: chi condivide idee e concetti ottiene in cambio molto di più di quanto dà via. Diventa una voce, un referente, un esempio. Per chi cercasse dei testimonial di questo concetto di Radical Openness posso suggerire di seguire Chris Dixon e Phil Libin.
Chris Dixon è un imprenditore diventato Venture Capitalist. Il suo blog è uno spazio in cui trovare informazioni su come gestire tutto il processo di finanziamento di una startup. Le informazioni che Chris condivide non sono scritte o codificate da nessuna parte, lui e i suoi molti colleghi VC che hanno dei blog e che parlano in pubblico sono le uniche fonti su questo argomento.
Phil Libbin è un imprenditore e al momento riveste il ruolo di CEO di Evernote. Evernote gestisce un sistema di archiviazione molto intelligente ed ha una struttura aziendale improntata alla trasparenza. Libin porta questa apertura al massimo condividendo i dati relativi al comportamento dei suoi utenti e alla loro redditività. Cosa ottiene aprendo i “libri” del suo business? In cambio di qualche cifra e grafico diventa di fatto il leader di mercato quanto si parla del modello freemium su Internet, viene invitato a parlare in tutti i forum più importanti e fa in modo che Evernote sia non solo un esempio di azienda tecnologicamente innovativa, ma innova il modello stesso di azienda.

Cara America, mi deludi perché…

Ad un paese vasto e diverso come gli Stati Uniti non mancano le contraddizioni. Durante il mio viaggio mi sono imbattuto in alcune di queste. Le espongo di seguito un po’ come le ho incontrate.

L’effetto povertà

Che effetti subisce una società che “integra” così bene l’idea che l’individuo può tutto e che lo stato non deve aver alcun ruolo nell’aiutare i singoli? La destra – ormai pericolosamente identificata dai tea party – è impegnata a consolidare un pensiero molto americano: lo stato non deve aiutare, assistere o supportare la collettività. Non deve prelevare dalle tasche della collettività per aiutare i più deboli o disagiati. Ciascuno, con le sue proprie forze, deve “dimostrare” quello che vale, e questa dimostrazione si fa in banca con la cifra del proprio estratto conto.
Non sarebbe corretto dire che gli Stati Uniti vivono una divisione in classi sociali, si tratta piuttosto di classi di reddito. Per ciascuna classe di reddito ci sono diversi livelli di accesso a servizi e prodotti tra cui alcuni servizi e prodotti molto delicati come la salute e il benessere psicofisico.
Attraverso il mito del self made man si propone quindi una società divisa e ingiusta, malsana e infelice.

Uno stato che acuisce le differenze

Per chi ha la convinzione che il ruolo dello stato sia quello di equalizzare le differenze sociali e fornire a tutti un livello di partenza omogeneo, tutto questo suona come una marcia indietro rispetto a traguardi considerati ormai ovvi. E’ possibile aderire e credere al mito del self made man, ma bisogna anche credere che – senza distinzioni di sesso, orientamento sessuale, origine, razza o religione, tutti debbano poter accedere ad un medesimo livello di educazione, salute e quindi di possibilità da cui poi dover dimostrare – come individui – di che pasta si è fatti.
Uno stato che ridistribuisce il reddito insomma non è in conflitto con uno stato che crede nell’individuo. Anzi crea più individui abili all’azione e capaci poi di “farsi da soli”.
Gli Stati Uniti stanno compiendo alcuni passi in questa direzione, ma sembrerebbe che per il momento l’Europa continui ad avere un primato da questo punto di vista.

Conoscersi è gratis. Quanto costa però sviluppare un rapporto?

La grande disponibilità che gli americani offrono ad un primo incontro può sembrare fuorviante a chi è abituato, in modo profondamente europeo, a moderare la quantità di approcci in cerca della qualità dei rapporti. Conoscersi è gratis negli Stati Uniti, mentre ha un costo indiretto molto alto nel vecchio continente.
Il problema si pone appena il “primo approccio” si è concluso. Sembra – e qui l’opinione personale prende il sopravvento e questo articolo prende davvero la forma aneddotica – che il rapporto troppo spesso si concluda e si esaurisca nella prima iniziale valutazione di interesse. Una volta conclusasi questa fase raramente si sviluppa un dopo.
La facilità con cui è possibile fare conoscenza e il costo tendente a zero di questa fase hanno un contraltare: la difficoltà a sviluppare qualcosa di reale e duraturo. In affari come in amicizia sembra che una società veloce e performante non possa ammettere di spendere un poco più di tempo e raggiungere un po’ più di profondità.

Il mercato c’è sempre, ma a volte delude

Non sempre il mercato raggiunge le soluzioni ottimali per i consumatori, quanto delle condizioni di profitto tali da non lasciare i clienti del tutto insoddisfatti. Mi riferisco in questo caso al pessimo stato delle telecomunicazioni fisse e mobili negli Stati Uniti.
La banda casalinga a disposizione è ancora nella classe DSL, asimmetrica e con lunghi tempi di latenza. La banda mobile è risicata e il segnale, soprattutto sull’unica rete 3G a cura di AT&T, è fluttuante anche nel profondo delle aree urbane. Il WiFi pubblico e gratuito è uno sconosciuto, così come la copertura delle reti mobili nell’underground.
Quello che parte da queste considerazioni è un discorso molto ampio che vede intersecarsi la visione degli spazi pubblici (come spazi privati concessi in uso), la complicata storia delle telecomunicazioni negli USA e, soprattutto, la valutazione della forza del mercato e della sua capacità di innovativa.
Mi limito per questo ad una considerazione più diretta e consequenziale: l’assenza di una diffusa e ubiqua rete di telecomunicazioni fisse e mobili rappresenta un vero e proprio ostacolo all’evoluzione del mercato che un paese che si propone di continuare ad essere il leader mondiale dell’innovazione non dovrebbe avere.

Cercando una casa

Berlino. 21 Giugno. Nel coworking dove sto lavorando – un ufficio condiviso dove si ritrovano consulenti, freelancer e piccole startup – fervono i preparativi per la festa della musica. A partire dalle 16:00 ci saranno concerti in tutta la città in onore del solstizio d’estate. Tutto gratis. E’ in una giornata così che posso provare a fare una sintesi tra la mia esperienza americana e le ragioni che mi hanno portato a tornare nel vecchio continente.
Oggi si festeggia. La città nella notte verrà ripulita dalle bottiglie e dalle cartacce a spese della collettività e domattina sarà pronta ad iniziare un nuovo (più ordinario) giorno. Nessuno protesterà per l’uso di soldi pubblici. Sono stati spesi per un buon fine: supportare la vita culturale di una grande capitale europea.
E’ in questo clima che preferisco innovare. Meno attivo, meno frenetico, ma non meno stimolante e intelligente. Piuttosto che accettare un’America che vedo troppo contraddittoria, preferisco fare pressione perché il vecchio continente impari di più dal nuovo.
Abbiamo tanto da imparare e tante sovrastrutture da smontare se vogliamo accettare veramente un futuro fondato sulla continua scommessa delle nuove imprese innovative. Dobbiamo essere più aperti al nuovo, più attenti ai giovani, più sicuri di noi stessi, più generosi verso gli altri. Dobbiamo creare le condizioni perché i gerontosauri che ci governano – dalle istituzioni alle aziende – entrino nel loro successivo ciclo evolutivo e smettano di avvelenare di staticità il nostro mondo.
Bisogna impegnarsi e avere tanto coraggio. Ma le condizioni che fanno della Silicon Valley un luogo unico al mondo non sono del tutto irripetibili. Quella dell’innovazione è una ideologia basata su conoscenza e tecnologia ed ha un suo naturale strumento di diffusione: Internet.
Semi capaci di generare centinaia di Silicon Valley sono nel vento e attendono solo di trovare terreno fertile.

A casa

C’è una forza magnetica che mi riporta in Europa e che mi fa vedere il bicchiere di Coca Cola mezzo vuoto: è la forza di una storia che mette in condizioni di pensare al futuro in modo diverso, è la certezza di avere istituzioni che non hanno paura di fare il bene della società nel suo insieme, è un insieme di cultura e storia che per quanto antiche hanno ancora una potente forza generativa – forse non prorompente come quella americana – ma sono lungi dall’essere sterili.

Questo articolo fa parte di una serie. Scopri la seconda puntata: “In fuga dall’Italia: una startup negli USA, una vita a Berlino”

Pin It on Pinterest

Share This